Quel posto non mi piace!

Ciò che segue è un compendio di storie, fortunatamente non concomitanti, che hanno però un unico denominatore comune: una significativa azione compromissoria della qualità complessiva percepita dagli Utenti di uno studio dentistico.
Sono situazioni che pur non riferendosi alla qualità clinica dei professionisti che operano nello studio, possono incidere, sia pur in modo inconscio, nel giudizio complessivo e nella conseguente efficacia del passaparola.
Ciò significa che, oltre alla sussistenza di interventi clinicamente congrui e corretti, occorre prestare molta attenzione anche ad una serie di caratteristiche e requisiti che coinvolgono l’intera struttura (locali, attrezzature, personale, procedure, organizzazione) per il raggiungimento di un eccellente standard qualitativo.
Generalmente i Pazienti giudicano le prestazioni odontoiatriche sulla base dell’interazione con il dentista ed il suo staff perché normalmente non sono in grado di valutare la qualità tecnica del servizio. Chi si sottopone ad un trattamento odontoiatrico acquista senza poter vedere il risultato, pertanto cerca segni di qualità per ridurre l’incertezza.

Le storie

Qualità dell'organizzazione

Eccoci nello studio del dottor Primo, un bravo dentista con una clientela più o meno fidelizzata, composta prevalentemente da famiglie di operai e impiegati. Per sostenere le sue entrate, il dottor Primo collaborava in modo non sistematico con un paio di studi del centro città dove veniva chiamato per l’endodonzia.
La gestione operativa dello studio era affidata all’unica dipendente che svolgeva mansioni di assistente e segretaria. Lo studio era operativo 7 mezze giornate a settimana, quasi sempre le stesse ma con la possibilità di modifiche quando gli impegni con gli altri studi si sovrapponevano. Per questo era abbastanza frequente che si dovessero rimandare delle sedute programmate, con disappunto dei Pazienti che, per andare dal dentista, spesso avevano dovuto chiedere permessi o prendere ferie. Ma il problema non finiva lì.
Nella programmazione degli interventi, il dottore non ne specificava quasi mai il contenuto, sicché la sua assistente, pur avendo una discreta esperienza operativa, non aveva indicazioni sui tempi da riservare alle successive sedute. Il risultato era che a volte c’erano dei momenti di inattività ed altri in cui la sala d’attesa era affollatissima e non mancavano le lamentele per i tempi di attesa e per la conseguente confusione operativa che si generava nel tentativo di recuperare i tempi.

1_Albertorubbo_storiequasivere_illustrazione_Qualita_organizzazione
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Qualità dell'organizzazione

Eccoci nello studio del dottor Primo, un bravo dentista con una clientela più o meno fidelizzata, composta prevalentemente da famiglie di operai e impiegati. Per sostenere le sue entrate, il dottor Primo collaborava in modo non sistematico con un paio di studi del centro città dove veniva chiamato per l’endodonzia.
La gestione operativa dello studio era affidata all’unica dipendente che svolgeva mansioni di assistente e segretaria. Lo studio era operativo 7 mezze giornate a settimana, quasi sempre le stesse ma con la possibilità di modifiche quando gli impegni con gli altri studi si sovrapponevano. Per questo era abbastanza frequente che si dovessero rimandare delle sedute programmate, con disappunto dei Pazienti che, per andare dal dentista, spesso avevano dovuto chiedere permessi o prendere ferie. Ma il problema non finiva lì.
Nella programmazione degli interventi, il dottore non ne specificava quasi mai il contenuto, sicché la sua assistente, pur avendo una discreta esperienza operativa, non aveva indicazioni sui tempi da riservare alle successive sedute. Il risultato era che a volte c’erano dei momenti di inattività ed altri in cui la sala d’attesa era affollatissima e non mancavano le lamentele per i tempi di attesa e per la conseguente confusione operativa che si generava nel tentativo di recuperare i tempi.

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Qualità dell'ambiente

Nulla di ciò accadeva nello studio del dottor Secondo. La programmazione funzionava bene e i tempi di attesa erano quasi sempre brevi. Restava però il tempo per cogliere, in sala d’attesa, visibili tracce di una approssimativa pulizia. Anche un occhio non particolarmente critico notava lo sporco e il disordine. Il peggio, però, lo si trovava nei servizi igienici. Anche qui la insufficiente frequenza della pulizia era ben evidente, così come la trascuratezza nel controllare che ci fossero carta igienica, tovagliolini e quant’altro.
Il dottor Secondo non ne aveva visibilità in quanto non usava il bagno dei Pazienti né frequentava la sala d’attesa. Ed era ignaro di quanto la trascuratezza nella pulizia e nell’igiene di parte dello studio compromettesse la qualità percepita dagli Utenti.

Qualità del contesto

Nello studio del dottor Terzo, c’era un evidente disordine organizzativo e una percepibile poca disciplina, dovuti certamente alla insufficiente attenzione che il dottore poneva al contesto. Negli oltre cinque anni di apertura dello studio non era riuscito a dettare un comune stile comportamentale (che neppure lui aveva) anche per una oggettiva mancanza di leadership. L’abbigliamento di lavoro era casuale e lo staff dava la sensazione di essere una squadra raffazzonata e organizzata un po’ a caso, con riflessi negativi sugli Utenti che, in quel contesto, non trovavano quei riferimenti che, se pur in modo inconscio, generano il necessario senso di fiducia per affrontare con maggior serenità un percorso terapeutico.

3_AlbertoRubbo_storiequasivere_qualità_contesto
3_AlbertoRubbo_storiequasivere_qualità_contesto

Qualità del contesto

Nello studio del dottor Terzo, c’era un evidente disordine organizzativo e una percepibile poca disciplina, dovuti certamente alla insufficiente attenzione che il dottore poneva al contesto. Negli oltre cinque anni di apertura dello studio non era riuscito a dettare un comune stile comportamentale (che neppure lui aveva) anche per una oggettiva mancanza di leadership. L’abbigliamento di lavoro era casuale e lo staff dava la sensazione di essere una squadra raffazzonata e organizzata un po’ a caso, con riflessi negativi sugli Utenti che, in quel contesto, non trovavano quei riferimenti che, se pur in modo inconscio, generano il necessario senso di fiducia per affrontare con maggior serenità un percorso terapeutico.

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Qualità del clima

Nello studio del dottor Quarto, l’organizzazione era portata agli eccessi. Regole ferree mettevano in difficoltà il personale, anche a causa della estrema rigidità del dottore che, ad ogni minima occasione, non mancava di rimproverare il personale e i collaboratori. E questo avveniva regolarmente davanti ai Pazienti. Sicché, in sala operativa, le sfuriate erano all’ordine del giorno, con tono di voce perentorio che, sovente, intimorivano i Pazienti stessi.
Tutto ciò non poteva che dare la sensazione che la qualità operativa del personale di assistenza fosse al di sotto della soglia minima. E, in più, il dottore rimproverava l’assistente anche quando egli stesso commetteva qualche piccola imprecisione operativa così che i Pazienti ne venivano regolarmente informati in tempo reale.

Qualità dell'accoglienza

Il dottor Quinto aveva fatto una scelta piuttosto approssimativa del personale. Per l’accoglienza degli Utenti aveva assunto Anna Rita, una parente poco scolarizzata che aveva perso il posto di lavoro presso una fabbrica che aveva chiuso.
Anna Rita, non più giovanissima, veniva da tutt’altro ambiente, con abitudini certamente diverse da quelle di uno studio medico. Nonostante le continue indicazioni, la signora aveva l’abitudine di tenere un tono di voce molto alto (forse a causa del rumore in cui viveva nel suo precedente lavoro), chiamava ad alta voce i Pazienti in sala d’attesa dal suo desk posto al di fuori, ometteva regolarmente ogni titolo gridando il solo cognome. Oltre a ciò, era molto incline al pettegolezzo che praticava con chiunque fosse disposto a darle ascolto, sempre col suo stentoreo tono di voce.
Si aggiunga l’incerto uso del congiuntivo, proprio della forma espressiva della signora Anna Rita che, con il suo arrivo, ha trasformato il front end in un luogo caratterizzato da una sguaiatezza certamente non adeguata ad uno studio medico dentistico.

5_Albertorubbo_storiequasivere_illustrazione_Qualita_accoglienza
5_Albertorubbo_storiequasivere_illustrazione_Qualita_accoglienza

Qualità dell'accoglienza

Il dottor Quinto aveva fatto una scelta piuttosto approssimativa del personale. Per l’accoglienza degli Utenti aveva assunto Anna Rita, una parente poco scolarizzata che aveva perso il posto di lavoro presso una fabbrica che aveva chiuso.
Anna Rita, non più giovanissima, veniva da tutt’altro ambiente, con abitudini certamente diverse da quelle di uno studio medico. Nonostante le continue indicazioni, la signora aveva l’abitudine di tenere un tono di voce molto alto (forse a causa del rumore in cui viveva nel suo precedente lavoro), chiamava ad alta voce i Pazienti in sala d’attesa dal suo desk posto al di fuori, ometteva regolarmente ogni titolo gridando il solo cognome. Oltre a ciò, era molto incline al pettegolezzo che praticava con chiunque fosse disposto a darle ascolto, sempre col suo stentoreo tono di voce.
Si aggiunga l’incerto uso del congiuntivo, proprio della forma espressiva della signora Anna Rita che, con il suo arrivo, ha trasformato il front end in un luogo caratterizzato da una sguaiatezza certamente non adeguata ad uno studio medico dentistico.

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Qualità relazionale

Il dottor Sesto, ottimo professionista, aveva un temperamento molto estroverso e con una forte propensione ad un dialogo molto confidenziale con tutti, Pazienti compresi. Era incline alle battute e il suo atteggiamento in sala operativa era sempre vivace e frizzante.
Con i Pazienti nuovi, non passavano che pochi minuti perché il dottor Sesto passasse ad un confidenziale “tu” indipendentemente dall’età e dalla posizione sociale del suo interlocutore. Non a tutti i Pazienti, però, ciò risultava gradito. La maggior parte di questi accettava comunque questo approccio anche se avrebbe gradito, almeno inizialmente, un atteggiamento di maggior rispetto.
Il precoce uso del “tu” era per la maggior parte degli Utenti percepito come il perpetrarsi di quella pessima abitudine che ancora è praticata nelle strutture ospedaliere pubbliche e che certamente non è consona in un contesto privato in cui il Paziente, oltre che tale, si sente anche il Cliente.

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